Codice Civile art. 2407 - Responsabilità 1 2[I]. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. [II]. Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata dal collegio sindacale a norma dell'articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso. [III]. All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395. [IV]. L'azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all'articolo 2429 concernente l'esercizio in cui si è verificato il danno.
[2] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, della l. 14 marzo 2025, n. 35. Il testo dell'articolo era il seguente: «[I]. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. [II]. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.[III]. All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395.» InquadramentoCon la riforma del 2003, il legislatore ha inteso superare ogni ricostruzione del rapporto tra società e sindaci con un richiamo alla figura del mandatario (come nella formulazione della norma precedente alla riforma del 2003). Oggi, dunque, la norma prevede che i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: la disposizione riecheggia, in particolare, il disposto di cui all'art. 2392 previsto in materia di responsabilità degli amministratori, ma con un riferimento, non contenuto in quella norma, alla professionalità anch'essa legata alla natura dell'incarico (sul punto, Aiello, 525). Tale richiamo si spiega, tuttavia, in base alla circostanza che l'accesso all'organo di controllo è, per i sindaci, legato al possesso di specifici requisiti professionali (Aiello ibidem ) e si sostanzia, dal punto di vista contenutistico, nel possesso delle conoscenze medie della categoria professionale cui i sindaci medesimi appartengono (Magnani 269), conoscenze da cui non può essere disgiunto un certo grado di perizia (Ambrosini in Tr. Res., 2013, 277). Con la legge 14 marzo 2025, n. 35, il legislatore ha modificato, in materia significativa, il regime della responsabilità dei sindaci. In particolare, la riforma interviene sotto due profili costituiti, da un lato, nella fissazione di un limite “numerico” alla pretesa risarcitoria che può essere addebitata ai sindaci e, dall'altro, in una diversa modulazione della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di responsabilità. Secondo alcune pronunce di merito, la nuova disciplina relativa al termine di prescrizione dell'azione di responsabilità si applica alle condotte successive all'entrata in vigore della l. n. 35/2025 (Trib. Venezia n. 3443/2025; Trib. Bari, 24.4.2025). Diversamente, si è affermato che il nuovo testo del comma 2 dell'art. 2407 c.c. si applica anche ai fatti pregressi all'entrata in vigore della legge medesima, trattandosi di previsione lato sensu procedimentale (Trib. Bari, 24.4.2025. In senso contrario, Trib. Palermo, 4 luglio 2025). La diligenza richiesta ai sindaciSi è già detto del significato del richiamo alla natura dell'incarico ed alla professionalità. Non è possibile enucleare un comportamento corretto in generale, dovendo la diligenza professionale essere commisurata alle principali caratteristiche della società, quali le dimensioni, l'oggetto sociale, la struttura organizzativa e proprietaria. Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni dall'art. 2403 concerne l'operato degli amministratori e tutta l'attività sociale, al fine di assicurare che la stessa venga svolta nel rispetto della legge e dell'atto costitutivo (Cass. n. 2772/1999; Cass. n. 18728/2007). Il controllo del collegio sindacale di una società per azioni non è circoscritto all'operato degli amministratori, ma si estende a tutta l'attività sociale (come è lecito desumere dal disposto di cui agli artt. 2403, 2405, 2377, comma 2), con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali (Cass. n. 5287/1998). Tuttavia, il controllo sindacale è finalizzato alla verifica dell'osservanza della legge e dell'atto costitutivo e non può estendersi anche all'esame dell'opportunità e della convenienza delle scelte gestionali. Ove peraltro siano riscontrabili gravi irregolarità gestionali, l'insufficienza dei rimedi interni alla società rende doverosa, da parte dei sindaci, la denunzia al pubblico ministero per le iniziative di cui all'art. 2409 (in questo senso, Trib. Milano, 5 marzo 2007). La responsabilità dei sindaci come responsabilità per fatto proprioLa norma contempla, infine, due aree di responsabilità dei sindaci: la prima, esclusiva, si riconnette a condotte imputabili esclusivamente ai sindaci stessi (responsabilità esclusiva); la seconda presuppone un concomitante comportamento illecito posto in essere dagli amministratori, in relazione al quale i sindaci non hanno attivato i propri poteri di reazione omettendo, così, di porvi rimedio (responsabilità concorrente). Indipendentemente dalla riconducibilità del comportamento all'una o all'altra delle due categorie ora sommariamente descritte, la responsabilità dei sindaci è sempre una responsabilità per fatto proprio (Franzoni in Comm. S. B., 2015, 218) poiché il presupposto è costituito dall'omissione della vigilanza o di controllo che è fonte di danno ovvero dall'inerzia rispetto ad un obbligo di consulenza o di amministrazione (Franzoni ibidem). Nell'ipotesi di responsabilità concorrente, i sindaci rispondono non per il fatto degli amministratori, ma per non avere tenuto un comportamento dovuto (ritengono che si tratti di responsabilità diretta, l'assoluta maggioranza degli autori, Tedeschi, in Comm. S., 1992, 354; Cavalli, 168; Franzoni, in Comm. S. B., 2015, 219) e nei limiti in cui il loro intervento avrebbe evitato il danno. Anche in tal caso, quindi, non vi è automatismo tra responsabilità degli amministratori e quella dei sindaci, in quanto l'illecito degli amministratori è il presupposto che concorre con l'ulteriore illecito dei sindaci, ma solo quest'ultimo è la fonte di responsabilità per costoro, ancorché il risarcimento dovuto comprenda il danno cagionato dagli amministratori, per effetto della solidarietà prevista dalla norma in commento (Franzoni ibidem). In questa prospettiva, i sindaci non potranno essere chiamati a risarcire il danno cagionato dagli amministratori allorquando essi abbiano diligentemente attivato i propri poteri (impugnazione deliberazione, proposizione dell'azione di responsabilità, proposizione della denuncia al tribunale) ovvero quando, sotto il profilo causale, anche un intervento tempestivo del collegio non sarebbe stato comunque idoneo ad evitare il danno. Anche la giurisprudenza si è attestata su simili posizioni, rilevando che la responsabilità dei sindaci non è un'automatica proiezione di quella degli amministratori, ma deve nascere sempre da fatti imputabili ai sindaci medesimi (App. Milano, 17 febbraio 1995). La responsabilità esclusiva dei sindaciIl primo comma dell'articolo in commento, dopo avere delineato i contorni della condotta dei sindaci, stabilisce che essi sono responsabili della verità delle loro attestazioni e che devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Le attestazioni ricomprendono la relazione del collegio al bilancio di esercizio (art. 2429) e le verbalizzazioni eseguite sul libro di cui all'art. 2421, comma 1, n. 5 e, in generale, ogni altra relazione o dichiarazione dei sindaci, compresi i chiarimenti sulla gestione esposti, oralmente o per iscritto, nel corso dell'assemblea dei soci (Ambrosini in Tr. Res., 2013, 279). Quanto al dovere di riservatezza, esso costituisce il contraltare dei poteri ispettivi ed informativi attribuiti ai sindaci (Ambrosini ibidem): nell'esercizio di tali poteri, infatti, i sindaci vengono a conoscenza di dati e documenti riservati che non debbono essere divulgati né ai terzi né ai singoli soci. Tuttavia, in sede di assemblea, viene meno l'esigenza di segretezza su fatti, atti o documenti societari, perché in quella sede i sindaci devono fungere da consulenti dei soci (Franzoni in Comm. S. B., 2015, 274; Tedeschi, in Comm. S., 1992, 336). La responsabilità concorrente dei sindaci. La riforma del 2025Prima della riforma di cui alla l. 14 marzo 2025, n. 35, il secondo comma della disposizione in commento prescriveva che i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Si trattava di una ipotesi di responsabilità concorrente in quanto la responsabilità dei sindaci derivava da un comportamento doloso o colposo degli amministratori che i sindaci avrebbero potuto e dovuto prevenire od impedire nell'espletamento della loro funzione di vigilanza. In altre parole, viene così a delinearsi una fattispecie complessa, nella quale l'inadempimento dei sindaci si innesta sul preesistente illecito degli amministratori (Aiello 530). Sempre secondo la versione antecedente alla modifica del 2025, la responsabilità dei sindaci presuppone che: a) gli amministratori abbiano posto in essere un comportamento illecito (Cass. n. 2355/1988, secondo la quale l'accertamento della cui responsabilità è presupposto necessario per la affermazione della responsabilità dei sindaci medesimi, nonché Cass. n. 2361/1988); b) da tale comportamento sia derivato un danno; c) i sindaci, in violazione degli obblighi imposti a loro carico, non abbiano vigilato con professionalità e diligenza; d) sussista una relazione di causa-effetto tra la mancata vigilanza dei sindaci o il loro comportamento negligente ed il danno (in particolare, Cass. n. 2624/2000). Anche in tal caso, pur essendo la responsabilità dei sindaci concorrente rispetto a quella degli amministratori, essa non costituisce una responsabilità indiretta, ma una responsabilità per fatto proprio consistente nella violazione del dovere di vigilare diligentemente sull'operato degli amministratori (cfr., in questi termini, Cass. n. 4891/1980): si tratta, all'evidenza, di una responsabilità per culpa in vigilando. Non disponendo i sindaci di poteri di veto o di sostituzione rispetto all'organo amministrativo, il concetto di mancata produzione del danno, va inteso nel senso che è necessario che l'attività di vigilanza dei sindaci sia sempre improntata alla tempestiva segnalazione agli organi competenti del pericolo di danno derivante dalla condotta degli amministratori, in modo da porre in essere le condizioni legali per l'eliminazione preventiva, o comunque l'attenuazione, dei danni conseguenti alla cattiva condotta gestoria: se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, ai fini dell'esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge (Cass. n. 24045/2021). In caso di accertamento positivo, la responsabilità dei sindaci è solidale con quella degli amministratori. Peraltro, sussistendo la responsabilità solidale tra gli stessi sindaci, ad ognuno di essi potrà essere richiesto l'intero risarcimento (cfr., Cass. I, n. 5287/1998; Cass. I, n. 5444/1991). Con la riforma del 2025, è stato introdotto un limite alla responsabilità proporzionato alla misura di un multiplo dei compensi riconosciuti all'organo di controllo i quali, dovrebbe almeno presumersi, dovrebbero risultare parametrati alla complessità dell'incarico, all'impegno da profondere in esso ed al livello del professionista chiamato ad assumerlo (Abriani, 10, Romano, 8; Ambrosini, 8). La limitazione così introdotta si riferisce a tutte le azioni di responsabilità che sono previste dall'ordinamento e, precisamente, all'azione sociale di responsabilità, all'azione dei creditori e alla azione esercitabile dai terzi (Muttini, 2073). È dubbio, invece, se il risarcimento del danno sia ancorato, secondo la nuova norma, ad un multiplo del compenso “percepito” o “pattuito”. una interpretazione strettamente letterale della norma – e, dunque, una interpretazione che tenga conto esclusivamente del compenso “percepito” dal sindaco – condurrebbe ad un effetto paradossale, quale il completo esonero da responsabilità nel caso in cui il professionista non abbia in concreto percepito alcun compenso. Ipotesi quest'ultima che ben potrebbe verificarsi allorquando la società versi in uno stato di crisi o, addirittura, di conclamata insolvenza e che, dunque, proprio a cagione di tale situazione non riesca a corrispondere quanto dovuto al sindaco. Ma se così fosse, proprio in una fase della vita societaria dove deve essere massima la diligenza prestata nello svolgimento dell'incarico, il sindaco godrebbe di un completo esonero da responsabilità verso tutti i soggetti titolari delle diverse azioni instaurabili nei suoi confronti. Al fine di prevenire conseguenze di tale tipo non resta che attribuire alla dizione usata dalla norma il significato di compenso “pattuito” (Romano, 8; Abriani, 10). Nel riformulare l'art. 2407 c.c., il legislatore ha eliminato il riferimento alla solidarietà tra amministratori e sindaci che legava la responsabilità dei secondi al compimento, da parte dei primi, di atti di mala gestio. Nella nuova formulazione è previsto soltanto che i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito. Mentre secondo una parte della dottrina, una volta eliminato il riferimento testuale, la responsbailità solidale tra amministratori e sindaci non è più recuperabile in via interpretativa (Guizzi, 263), in ragione della circostanza che le condotte degli amministratori e dei sindaci, pur nella loro diversità, convergano nella causazione del danno, pur espunta dal dato testuale del nuovo art. 2407 c.c., la solidarietà continua a regolare i rapporti tra la responsabilità dei sindaci e quella degli amministratori delle società di capitali (Romano, 13; Sudero, 9; Muttini, 2069). Quanto al contenuto dei doveri gravanti sui sindaci, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che sussiste la violazione del dovere di vigilanza con riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di un'attività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da coinvolgere un intero ramo dell'attività dell'impresa sociale: al fine dell'affermazione della responsabilità dei sindaci, invero, non occorre l'individuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente il non avere rilevato una così macroscopica violazione, o comunque il non avere in alcun modo reagito ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al p.m., ove ne fossero ricorsi gli estremi, per consentire all'ufficio di provvedere ai sensi dell'art. 2409, in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria (Cass., n. 27789/2024; Cass. n. 21566/2017; Cass. n. 16314/2017). I concetti da ultimo elaborati sono stati anche ripresi dalla giurisprudenza la quale ha evidenziato che sussiste la violazione del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dal secondo comma dell'art. 2407, con riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di un'attività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da coinvolgere un intero ramo dell'attività dell'impresa sociale: al fine dell'affermazione della responsabilità dei sindaci non occorre l'individuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente non aver rilevato una così macroscopica violazione, o comunque di non avere in alcun modo reagito ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede (Cass. n. 13517/2014; Cass. n. 24362/2013; cfr., anche Cass. n. 18728/2007). La giurisprudenza di legittimità ha precisato che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica, quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis, la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406, il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487, la denunzia al tribunale ex art. 2409, ed ogni altra attività possibile ed utile (Cass. n. 18770/2019). La prova liberatoriaI sindaci rispondono se, in conseguenza del loro intervento, il danno non si sarebbe prodotto. Posto che i sindaci non possono influire direttamente nella gestione della società, la norma è stata interpretata nel senso che la dimostrazione dell'inadempimento al dovere di vigilanza e di segnalazione delle irregolarità nelle forme previste dalla legge è sufficiente ad escludere il rapporto di causalità con l'evento dannoso prodottosi secondo l'id quod plerumque accidit (Tedeschi in Comm. S., 1992, 334; Cavalli, 173; Domenichini, 580). In altre parole, il sindaco convenuto deve dimostrare di avere ricoperto il ruolo di avveduto controllore (Franzoni in Comm. S.B., 2015, 254). A tal fine, sarà peraltro necessario che i sindaci abbiano annotato nel libro delle adunanze le risultanze degli accertamenti eseguiti e che ne abbiano riferito all'assemblea (Franzoni in Comm. S.B., 2015, 255). In tema di azioni di responsabilità verso l'organo sindacale, Cass., n. 2350/2024 ha affermato che spetta all'attore allegare l'inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all'esistenza di segnali d'allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull'avviso, e, una volta assolto tale onere, l'inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l'onere di dimostrare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la prevista gamma di atti (sollecitazioni, richieste, richiami, indagini) sino alle denunce alle autorità civile e penale Ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell'impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all'oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l'effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l'incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, onde l'attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori (Cass. n. 18770/2019, cit.). Le dimissioni presentate non esonerano da responsabilità il sindaco di società, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell'attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell'ambito della vigilanza sull'operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni, al contrario, diventano esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità (Cass. n. 18770/2019, cit.). Inoltre, in tema di responsabilità dei componenti dell'organo di controllo delle società, non è sufficiente, al fine di escludere l'inadempimento dei sindaci, il fatto di avere assunto la carica dopo la realizzazione dei fatti dannosi, ove i soggetti nominati abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l'attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori (Cass., n. 3822/2024). Profili processualiSecondo l'ultimo comma dell'articolo in commento, all'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395. Si rinvia al commento di tali norme. La responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza sull'operato degli amministratori, ha carattere solidale tanto nei rapporti con questi ultimi, quanto in quelli fra i primi, sicché l'azione rivolta a farla valere non va proposta necessariamente contro tutti i sindaci e gli amministratori, ma può essere intrapresa contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l'esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri, in considerazione dell'autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido (Cass. n. 25178/2015). A fronte dell'opposizione con la quale il sindaco di una società fallita si dolga della mancata ammissione allo stato passivo del credito relativo al compenso maturato nei confronti dell'ente, la procedura fallimentare può sollevare l'eccezione di inadempimento del sindaco stesso ai propri obblighi contrattuali; tuttavia, nel caso in cui sia dedotta una fattispecie di responsabilità concorrente dei sindaci ex art. 2407 c.c., il curatore ha l'onere di proporre detta eccezione in maniera specifica, dando la prova di quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la omessa vigilanza da parte dell'organo di controllo (Cass., n. 2343/2024). L'eccezione di inadempimento del sindaco può essere sollevata anche dal curatore del fallimento, a fronte della domanda di insinuazione allo stato passivo del suo credito professionale, assumendo che l'istante sia incorso nella responsabilità concorrente e solidale prevista dall'art. 2407, comma 2, c.c., e, a tal riguardo, la Cass., n. 3922/2024 ha affermato che, il curatore deve fornire la prova di quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di vigilanza esigibile dal sindaco e, solo una volta fornita la prova di tali fatti, non semplicemente descritti, può limitarsi a dedurre il difetto di vigilanza dell'organo di controllo. La modifica del regime della prescrizione.Il legislatore ha sentito l'esigenza di intervenire anche sul decorso del termine di prescrizione, aggiungendo un nuovo comma all'art. 2407 c.c. e stabilendo che l'azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all'art. 2429 c.c. concernente l'esercizio in cui si è verificato il danno (Sul punto, Romano, 15; Guizzi, 265; Abriani, 12; Muttini, 2079). Secondo i primi commentatori, la norma in esame si applica esclusivamente all'azione sociale di responsabilità. Per contro, nelle altre azioni di responsabilità nei confronti dei sindaci, la nuova norma non appare utilizzabile, in quanto, per esse, deve necessariamente valere il principio secondo il quale il dies a quo della prescrizione non può decorrere se non dal momento in cui sono oggettivamente percepibili tutti gli elementi della fattispecie e, dunque, non potrebbe mai essere anteriore al momento perfezionativo del danno che, a sua volta, rende identificabili gli interessi lesi e, dunque, i soggetti danneggiati che potrebbero valersi di quelle azioni (Romano, 16; Abriani, 12; Ambrosini, 13; Muttini, 2080 che evidenzia l'inutilità della modifica del regime della prescrizione in conseguenza della sentenza della Corte cost, n. 115/2024 in materia di prescrizione della responsabilità dei revisori).
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